Le Ciaramelle di Raffone
Un viaggio nelle tradizioni popolari della provincia di Rieti tra zampogne, "piripizzole" e poeti a braccio. Che parte dalle fredde montagne di Amatrice e finisce nel retro di un bar sulla strada per Ascoli
(Cous Cous - febbraio 2000)
di Stefano Saletti
Ci arrampichiamo sulle montagne dell'amatriciano, in provincia d Rieti, spinti da un duplice sentimento: da una parte la curiosità di incontrare alcuni suonatori che appartengono alla storia della musica tradizionale dell'alto Lazio; dall'altro la necessità di conoscere le origini di quei suoni - e quelle melodie - che sono alla base della nostra ricerca musicale come Novalia. Insieme con Raffaello Simeoni incontriamo alcuni protagonisti di una tradizione musicale e poetica affascinante che, dal canto a braccio ai saltarelli alle sonate per la sposa, rischia di scomparire.
Il nostro non vuole essere un approccio accademico - né certamente esaustivo - ma una testimonianza "sul campo" della ricchezza musicale del territorio reatino per far conoscere storie e musicisti studiati nelle università, ma spesso ignorati o dimenticati nella loro terra. A Rieti e provincia, infatti, malgrado ricerche effettuate da decine di etnomusicologi, che hnno prodotto libri e svariate incisioni, esiste una sostanziale ignoranza del valore di queste tradizioni. Al massimo viene vissuto come fenomeno di folklore locale, da cui fuggire per emanciparsi. Servirà molto tempo - e tanti altri studi - perch quello che gli anglosassoni definiscono local heritage possa conquistare lo spazo culturale che merita anche tra queste montagne.
Gli echi di Rosolino
Incontriamo Rosolino Rosati a San Benedetto di Amatrice una piccola frazione a pochi kilometri dal comune. Rosati suona le ciaramelle, comeviene definito il particolare tipo di zampogna "zoppa" utilizzata nella provincia reatina, strumento arcaico slegato al ballo e alle feste popolari, religiose e nunziali. Le ciaramelle hanno la particolarità di differenziarsi dalla zampogna tradizionale per una serie di modifiche apportate sui fori digitali delle canne e sui bordoni, il più piccolo dei quali viene tolto e il più grande otturato.
Il suono viene così prodotto dalle due canne melodiche, dette quella di destra femmina e quella di sinistra maschio, che producono due melodie che si rincorrono e si intrecciano in mille variazioni. Di solito ornano la zampogna frange rosse e fiocchi che sono elemnti decorativi, ma ai quali viene attibuito anche un significato magico. Usciamo all'aperto - è una fredda giornata di dicembre - tra la neve e un pallido sole che non scalda. Rosolino comincia a suonare un saltarello il cui eco si riverbera sulle montagne.
"Suono questo strumento da cinquant'anni durante matrimoni e nelle feste popolari - spiega - la mia zampogna ha trecento anni e arriva a me dopo una serie di passaggi da musicista a musicista, testimoniati dalle iniziali incise sul 'ceppo' dello strumento".
Poi ci fa ascoltare la sonata della sposa, una suite in tre movimenti (piagnereccia o pianipezza, camminareccia, crellareccia, che accompagna lo svolgimento della cerimonia nunziale. "La piagnereccia viene eseguita davanti al portone della casa paterna della sposa", spiega. Ha un andamento lento e di solito un ritmo libero. La cosa che più colpisce è la sua melodia triste, caratterizzata da effetti sonori della zampogna che simulano il piano per l'abbandono della casa da parte della ragazza. Il secondo movimento è detto camminareccia: è la musica del corteo nunziale aperto dallo zampognaro. E' un ritmo binario con suddivisione ternaria che ne dà un andamento a incedere adatto a descrivere la camminata festosa della sposa. Il terzo movimento, la crellareccia, è il ballo che viene eseguito all'uscita degli sposi dalla chiesa. Su ritmo binario, è spesso accompagnato dal tamburello. "La crellareccia - spiega ancora Rosati - è certamente più bella quando viene eseguita con la tamburella. C'è un ritmo più incalzante e le ciaramelle possono essere ancora più incisive".
Lei suona da solo o è accompagnato anche dall'organetto?
"Più che altro da solo. Ci può essere anche l'organetto, però ha un suono molto distante e i due strumenti non vanno molto d'accordo. Più interessante è l'incontro della ciaramella con la tamburella".
Ma quanti siete rimasti a suonare le ciaramelle?
"Pochi, troppo pochi. Mancano i giovani, che al massimo si avvicinano all'organetto. Purtoppo questa è una tradizione che scomparirà con gli ultimi musicisti. Ed è davvero un peccato...".
La cantina di Raffone
Con Alfredo Durante detto Raffone, l'incontro avviene senza preavviso. Andiamo a Torrita di Amatrice, poche case molte stalle, e chiediamo della sua abitazione. Raffaello lo ha già incontrato una volta tanti anni fa. Lo ricorda un po' scontroso e geloso del suo patrimonio di conoscenze. Ci accoglie invece con grande cordialità e ci invita nella sua cantina tra botti, ciaramelle e piripizzole (le ance che costruisce per suonare).
Raffone è il più importante suonatore di zampogna del territorio reatino. Novantenne suona ormai raramente, ma con due ospiti non si fa pregare troppo e parte con un tipico saltarello amatriciano. Eseguito malgrado l'età, con una maestria che fa impressione. Poi ci mostra le ciaramelle avute in eredità dal padre, anch'egli esperto musicista, e racconta.
"Suono da qundo avevo 10 anni. Papà era "professore". Costruiva le ciaramelle a mano, come mio nonno. Mio figlio e mio nipote invece suonano l'organetto. Anche i miei fratellastri suonano l'organetto, ma nessuno la ciaramella...forse perchè ci vuole fiato. Mio nonno e mio padre erano "artisti". Avevano lo strumento per arrotare il legno, quello azionato con il piede, tipo il tornio. Facevano le ciaramelle a mano. Io a dieci anni seguivo mio padre che andava in giro per i paesi ad insegnare ai signori, quelli che avevano i contadini, ai quali piaceva suonare. Ma quelli che riuscivano ed eguagliarlo erano veramente pochi. Due o tre riuscivano a fare le piripizzole, le otri, insomma tutti i pezzi. Tanti le sanno suonare ma a farle...Papà non sprecava niente, usava tutto il materiale che aveva a disposizione".
Poi si alza e ci mostra un pacchetto pieno di ance che tiene debitamente nascoste (dice che vengono a rubargliele...). "Soprattutto le ance è veramente difficilesaperle fare bene in modo che suonino. La difficoltà sta proprio nell'affinarle alla perfezione, con molta pazienza. I problemi sono tanti: a volte si rompono, altre fischiano... Quando un artigiano di un paese qui vicino mi ha mostrato le ciaramelle che aveva confezionato su ordinazione di altri paesani della zona, gli ho mostrato la mia per fargli vedere la differenza di costruzione. Gli ho detto che aveva più di cinquant'anni, ma quando l'ha guardata bene ha capito che in realtà poteva averne anche centocinquanta di anni. "Lo vedo dalla conformazione dei buchi", mi disse."
Raffone è un mare di ricordi, di emozioni, di esperienze, come quando rappresentò la provincia di Rieti in un gemellaggio con Londra, facendo ballare un intero aereoporto nell'attesa della partenz, o quando lascia la sua Torrita per essere pregiato ospite di rassegne o seminari di studio sulle tradizioni popolari. "Quante feste e serenate ho fatto e quante donne ho conquistato..." ricorda. "Cantavo e suonavo, facevo tutto da solo. Con la ciaramella e la quartina ero forte...Parlavo mentre lasciavo la zampogna che continuava a suonare da sola...Vallo a fa' mo'! Tra un mese c'ho novant'anni. Eh, quantu campu...".
La poesia di Paolo Santini
La zampogna spesso accompagna il canto dei poeti a braccio. Questa antica forma espressiva, diffusa in varie regioni soprattutto del centro Italia, prevede l'improvvisazione su temi popolari e dell'epica cavalleresca dentro schemi codificati della tradizione letteraria italiana. Paolo Santini è un poeta a braccio di Posta. E' uno dei più giovani esecutori di questo tipo di repertorio. "Questa tradizione nasce dal mondo pastorale che poi è quello che l'ha diffusa e fatta arrivare fino a noi. I pastori andando con il gregge avevano l'abitudine di leggere i grandi classici come la Gerusalemme liberata, l'Orlando furioso, poi all'osteria li tramutavano in canto, facendoli conoscere a chi li ascoltava. Erano cantati in ottava rima, cioè otto righe sei alternati e due baciati, in endecasillabi. Un esempio di endecasillabi può essere tratto dalla Divina Commedia di Dante:
Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritovai per una selva oscura
che la diretta via era smarrita
"Questo è il ritmo che portiamo. A volte possono esserci degli errori, contiamo dieci o dodici, ma avviene poche volte. Quando ci riuniamo per cantare a braccio facciamo una specie di riscaldamento, "mettiamo gli strumenti a fuoco", per prendere confidenza con i temi e i ritmi del canto. Spesso si fa anche una gara, che può durare tantissime ore. Cominciamo alle cinque del pomeriggio e finiamo all'alba del giorno dopo. E comunque non riesci mai a dire tutto quello che vorresti. La terzina è un modo divertente di cantare, devi rispettare la metrica stessa dell'endecasillabo; in pratica si rispetta la terzina dantesca. Poi facciamo anche la quartina, due righi alternati A B A B. Negli ultimi tempi la più diffusa è la terzina perchè scorre molto bene con l'organetto, con la ciaramella. Mentre le ottave sono concatenate, cioè se finiamo in ello chi parte deve cominciare con ello, per terzina bisogna proseguire a cantare con la centrale A B A, quindi con la B. L'esempio ci viene ancora da Dante:
Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritovai per una selva oscura
che la diretta via era smarrita
Ahi quanto a dir qual era è cosa dura
esta selva selvaggia e aspra e forte
che nel pensier rinnova la paura!
"Le terzine vengono usate per fare le serenate alle spose, nel giorno delle nozze, al pranzo. Insomma rappresentano la festa perchè vengono poi accompagnate dall'organetto, dalle ciaramelle". Poi Santini, dopo un po' di "riscaldamento", comincia a recitare una ottava rima...
La tela de 'na vota era fatica
non se comprava mica a lu mercato
serviva la pazienza e l'arte antica
e un pezzettinellu 'e terra ben curatu
Assieme co la mamma e co 'n' amica
dopo d'averne bene soventato
spettianu impazienti la mattina
che verde se facea la cannaina...
Siamo nel retro di un bar che da Rieti porta ad Ascoli Piceno. Di popolare c'è davvero ben poco, a parte un televisore acceso dove si commentano le partite della domenica e si ammicca ascoltando quel "matto" di Paolo che ha ancora voglia di raccontare di donne, cavalier, l'arme, gli amori... L'accostamento è deprimente: la battaglia è irrimediabilmente persa.
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